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Li | DELLA | LETTERATURA ITALIANA PUBBLICATA Da | E. PERCOPO, F. TORRACA ‘e N. ZINGARELLI. ! __
ANNO XVIII, 1913
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i COLLABORATORI:
G. BroGNoLIGO — (G. R. CERIELLO -— R. CESSI | R. GUASTALLA — M. MANCHISI — GG. PatLaDINO — B. PENNACCHIETTI E. PERcoPO — E. Proto — 0. RosaLBa — A. SAMMARCO A. SORRENTINO — F. VIGLIONE — N. ZINGARELLI
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INDICE DEL VOLUME XVIII (1913).
COMUNICAZIONI (i. BroexoLIco, I libri e gli autori del Baudello . . . G. R. CERIELLO, Imitazioni RR di Fernando de
Herrera R. Cessi, Vicende « (costato ie » di a. “Baieli B. PENNACCHIETTI, L' Avmida del Tasso nei melodrammi di |_— P. Metastasio + de E a G. RosaLBa, Tre sonetti rari di A. di Costanzo e quattro di I,. Tansillo in un curioso libretto SR A. SORRENTINO, Due battesimi nella poesia rara > & I°. VIGLIONE, La regina Anna d'Inghilterra in due poesie italiane contemporanee . N. ZINGARELLI, La corda e Gerione (nf. XVI 106-X VII)
RECENSIONI
(i. PALADINO — (i. MorpuRrGo, Un umanista martire: A. Pateario e la riforina teorica ilaliana nel sec. XVI. — (3. BORGIANI, M. Palingenio Stellato e il suo poema lo « Zodiucus vitae »
k. PERCOPO — T. PERSICO, Gli scr jitor i politici napoletani dal 1400 al 1700 3
E. PROTO — C. PELLEGRINI, L. ‘Pulci ;
N. ZINGARELLI — E. BEVILACQUA, L'episodio dan Ioscò della corda: genesi e allegoria. . . ....
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
S. BETTINELLI, Le « Lettere virgiliane » con introduzione e a cura di P. Tommasini MatTIUCCI (G. Brognoligo)
A. CORBELLINI, C. Goldoni nel Ghislieri di Pavia \{x. Bro- SDolipo) sd a. L a è £ 4 È © A
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(*) Avendo il tipografo per errore incominciato da capo la numerazione delle pagine del 2° fascicolo (luglio-diceubre;, invece di continuare quella del primo (gennaio-giugno), siamo costretti a stinupare in corsivo le cifre delle pagine del secondo, per non confonderle con quelle del primo. La direzione
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A. CORBELLINI, Di un r'imatore parese-veneziano del se- colo XVI: A. I Meszabarba (6. Brognoligo) .
L. paLLA Man, Un discepolo di P. Arettno: L. Venier e i suoi pocinetli osceni (L. Pèrcòpo) . o & & PL
P. PikRI, Ze motizie e gli scritti di T. a inveni (i. (1. Pontuno giovane (E. Pèrcopo) .
d- boccacceschi (A. Sammarco) TOFFANIN, Zl v'omantieismo e i « Promessi “Sposi » qR. (Guastalla) > & RD & »
P. ZORZANELLO, Un « crealo » di &. Aretino (E. Benni
A. ZACCAGNINI, Per lu storia letteraria del Duecento (E. Pèreopo) .
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VARIETÀ M. MasxcHhsi, Zrlorno dal nome di Tracalo da Riniini .
ANNUNZI SOMMARI
Rellezza (1.), Curiosità duntesche (p. 104). — Dini-Traver- sari (A.), A. Trauversari e i suoi tempi ecc. (p. 108). — Filippi (L.), G. Gallina (p. 106). — Foscolo (U.), Scritti varii inediti, ediz. |. Viglione (p. 104). — Lo Parco (F.), Aftracerso gli Abbruzzi ull abbazia di S. Spirito e agli evemi di [. P. ciel Morrone; Niccolò da Reggio untesignano del Risorgimento dell'antichità classica nel sec. XIV; Il voto di due gentildonne gqua- sconi a S. Jacopo di Conrpostella ecc.. (p. 109). — Medin (A.), Per la storta della fortuna del Boccaccio nel Veneto (p. 106). — Moschetti (A.), // « De lite inter Naturam. et Fortunain » e il « Contra casus for- tuitos » di A. Mussato (p. 107). —- Palmieri (R.), Za poesia politica di C. Davanzati; Sayyio sulla metrica del canzoniere di C. Davanzati (p. 105).
NOTIZIE ED APPUNTI... T28-1A1,
NUOVE PUBBLICAZIONI DI STORIA LETTERARIA
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I LIBRI E GLI AUTORI DEL BANDELLO
, Grande raccoglitore di libri fu il Bandello: egli stesso ci dice (II, 11) che, essendo a Roma, a Napoli, a Milano e in varii altri Inoghi, aveva raccolte e trascritte di sua mano composizioni di molti belli ingegni dell’età sua (1), le quali gli furono rubate nel sacco dato, dopo la bat- taglia di Pavia, alla sua casa di :Milano dai soldati spa- gnoli. Ci dice ancora ivi che non si stampava libro « ne la Magna, in Francia, e in Italia che egli subito non lo avesse » grazie alla cortesia di A. Manuzio. Perciò fonte di informazioni relativamente preziose per la storia let- teraria del sec. XVI sono le sue Novelle, ma da questo lato esse poco o nulla furono sfruttate (2). Ho creduto quindi utile e opportuno raccogliere da esse e ordinare sistematicamente per nome d’autore quante notizie vi si leggono d’indole letteraria o più precisamente biblio- grafica, notizie spesso fuggevoli, qualche volta incerte o inesatte, ma non di rado anche di cose. ignote o mal note, di cose che il tempo c’invidiò o che non videro mai la luce, o assai dopo che il B. scrisse (3). Quali si
(1) Doveva comprendere versi latini e italiani di N. Amanio, N. d’ Arco, P. Bariguano, C. Cerpelio, B. Castiglione, B. Dardano, F. Peto, C. Scarampa, M. A. Sabino, A. Tilesio.
(2) Nello studio sull’ Amanio, già pubblicato in questa ass., ho accennato all’ ignoranza che del B. mostra il Fino; aggiungo ora che eguale ignoranza mostrano il SeRASSsI nella Vita del Molza, e anche il diligentissimo MAZzUCHELLI, che pure nei suoi Scrittori ha un articolo sul B., di lui non giovandosi affatto negli articoli su autori, che con quello ebbero relazione.
(3) Tali sono le opere, o alcune opere di: L. Alberti, G. Beccaria, G. G. Calandra, C. Fieramosca, B. Giovio, G. Meraviglia, il Platina, B, dell’ Uumo.
2 RASSEGNA CRITICA
siano esse notizie e quale aiuto possan dare all’ erudi- zione nostra, utili esse sono sempre per conoscere con quali libri, in quali modi lavorava il novellatore mede- simo: appar chiaro cl’egli citava molto spesso a me- moria e trascurava, poi di controllare le sue citazioni, onde confusioni ed errori, di cui non gli può onestamente esser fatto carico. Da ciò nuova luce può venire per la retta intelligenza dell’opera sua maggiore. Anche aleune
opere sue egli ricorda nelle Nov., e le notizie di queste
mi è parso dover raccogliere e ordinare prima delle no- tizie delle opere altrui. Egli dunque ricorda di sno:
1. Le Stanze per Lucrezia Gonzaga di Gazuolo: I, 57; II, 21 e 36. Notizie particolari di questo sno poema il B. nou ci dà nelle tre indicate dedicatorie, la seconda delle quali è diretta alla stessa Lucrezia e le dice ch’ella vedrà nel poema com’egli si « sforza di farla immortale »; questa e la prima delle tre dedicatorie citate sono scritte innanzi che le Stanze fossero pubblicate, la terza dopo, e tutte mostrano che della pubblicazione procurata da Battista Fregoso il poeta non era così malcontento, come apparirebbe dalla dedicatoria di questo.
2. Le Parche: TI, 9 (non più che un fuggevole cenno). Le Parche e le Stanze furono pubblicate insieme un’ unica volta per cura di B. Fregoso nel volume intitolato: Canti XI composti dal B. de le lodi de la S. L. Gonzaga di Gazuolo, e del vero amore, col tempio di Pudicitia e con altre cose per dentro poeticamente descritte. Le III Parche da esso B. cantate ne la natività del S. Giano pri- mogenito del S. Cesare Fregoso, e de la S. Gostanza Ran- gona sua consorte. Il frontespizio non porta nessuna nota bibliografica; ma in calce si legge: « Si stampavano in Guienna ne la città di Agen per Antonio Reboglio del mese di marzo MDXLV ». Il volume è preceduto dalla dedicatoria a Costanza Fregoso Rangone, nella quale B. Fregoso vuol far eredere di averlo pubblicato all’ in- saputa e a dispetto dell'autore, confortato dal parere di parecchi dotti e in particolare di Giulio Cesare Scaligero, tel quale è messo innanzi al poema 1 epigramma latino
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In Bandelli amores pro diva heroina Lucretia Gonzaga Pyrrhi filia, che poi fu raccolto nei Poemata del mede- simo Scaligero (v. al nome).
Il poema, oltre che da questo epigramma, è preceduto da un sonetto di dedica del B. stesso alla Gonzaga e porta il semplice titolo Le Stanze del B.; termina a p. 193 v. Alla pagina 194 r sì legge: Capitoli III nata- litii fatti dal Bandello, e chiamati le tre Parche ne la na- tività del primogenito del S. Cesare Fregoso; a p. 194 v. è la lettera di dedica dei tre capitoli al conte Guido Ran- gone firmata dal B. e datata « da Verona a li xv di Genaro del MDXXXI ». Il primo capitolo s’ intitola da Cloto, il secondo da Lachesi e il terzo da Atropo: po- verissimi d’invenzione, hanno versi scoloriti e monotoni; notevoli nel secondo di essi il luogo, dove il neonato è sperato difensore dell’onore e dell’indipendenza d'’ Italia contro « la barbarica gente cruda e alpina », sentimento patriottico cui s'inspirano anche alcune ottave del primo degli XI canti. Ai tre capitoli seguono un sonetto del B. medesimo per la nascita del medesimo Giano e un’ epi- gramma latino del Fracastoro (v. al nome).
3. Rime: II, 11; III, 35. « Una canzone »: III, 23. Na- turalmente è impossibile determinare quale sia la canzone, qui ricordata, che Luigi da Porto a Venezia, lettala e ri- lettala, largamente lodò alla presenza di molti gentiluo- mini. Quanto alle rime, il B. ci dice che la maggior parte di esse gli furono rubate nel su ricordato sacco e che po- che egli potè ricuperare: come è noto, egli non le raccolse e pubblieò mai, e il Fregoso nella su citata dedicatoria dice che vorrebbe poter averle per pubblicarle, anche contro la volontà dell’ autore. Non le ebbe, ed esse fu- rono pubblicate soltanto nel 1816 a Torino da Luigi Costa per i tipi del Pomba, di su un cadice già apparte- nuto a Margherita di Navarra, bruciato nell’ incendio della Biblioteca torinese del 1904 (1).
(1) Altre Hime del B. furono pubblicate da M. ManbpALARI nella N. Ant. (16 giug. e 16 lug. 1907) e dal PERcOPO in questa Hass. (XII, pp. 49 e segg).
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4. Epistola latina a Lazzaro Tedesco: III, 2. Per questa epistola, rimasta ignota agli studiosi del B., cfr. più oltre l'articolo RapINO, dal quale apparirà la notizia di un’altra brevissima composizione latina in versi del B. medesimo, finora sconoscinta.
5. Traduzione dell « Ecuba » di Euripide: IV, 19. Un semplice cenno nella dedicatoria di questa nov. a Mar- gherita di Navarra, alla quale è dedicata anche la tradu- zione della tragedia euripidea. Questa fu pubblicata sol- tanto nel 1813 a Roma per cura di Guglielmo Manzi. Ctr. Ecuba tragedia di Euripide tradotta in verso toscano da M. B., Roma, De Romanis, 1818; pp. 127, in 4. A_p. 3: « Agli amatori delle belle lettere italiane Guglielmo Manzi salute »: poche e inesatte notizie del B. e del codice del- VP Ecuba dal Manzi « ritrovato avventurosamente nella Vaticana », nella quale era passato dopo la morte di Cristina di Svezia, che, non so come, laveva posseduto; a p. 11 la dedicatoria del B. alla regina di Navarra datata, ma erroneamente, « da Castello Giferedo al xx di Giugno del MDXXXVIIII »; a p. 16: « Argomento in L’Hecuba del Bandello »; a p.18: « Le persone che parlano in la favola >»; p. 19-124 la tragedia; e a p. 125 « a la sua Hecuba il Ban- dello »: breve canzone con la quale il traduttore invia la sua opera alla regina dì Navarra e ritesse le lodi di questa.
6. Focabolario latino: II, 11. Dandone notizia a messer Emilio degli Emilii, bresciano (v. all’ art. BARIGNANO), il B. chiama questa sua opera « quel gran volume dei vocaboli latini da Zi raccolti da tutti i buoni autori che a Je mani venuti gli erano >»; aggiunge che esso molto era piaciuto all’ Emilii, cui l'aveva mostrato, e che la perdita di esso nel sacco su ricordato più di ogni altra gli era stata grave, di rinnovare il lavoro non avendo più Il mezzo e agio, anche per la morte di A. Manuzio (1).
(1) A proposito degli studii classici del B. ricordo che in II, 6 egli accenna allo studio da Ini dato ai dialoghi platonici. Nelle Stanze (canto VI, pp. 100 re segg.) accenna ancora a questi suoi studii, e dice che li smise per consiglio di persona autorevole, rivolgendosi invece ad Aristotile; ma conclude che in tal modo non fu nè platonico, nè stagirita,
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7. Ragionamenti in nove giornate intorho agli avveni- menti casuali e fortunevoli: IT, 48; III, 9. Questi ‘agio- namenti furono tenuti in presenza di Ippolita Sforza Bentivoglio, e di essi nessupa traccia ci è rimasta se non in questi ricordi dell'autore. Prima del 1525, se questo è l'estremo limite cui si può far risalire la composizione della nov. 9 della p. III (1), erano finiti, « ma non ancora con l’ estrema mano rivisti ». Probabilmeute ad essi al- lude B. Fregoso, quando nella su ricordata dedicatoria delle Stanze tra le cose del B. che vorrebbe avere per poterle pubblicare, annovera anche gli « amenissimi Giar- dini »: è verosimile infatti che così si intitolassero questi ragionamenti dal luogo dove si dovevano fingere tenuti; l'aggettivo « amenissimi » ci ta credere poi che il Fre- goso li conoscesse, e forse non era lui soltanto a cono- scerli. Se è così, bisogna concludere che quest’ opera andasse smarrita in Francia dopo la morte dell’ autore, e che, morto lui, a chi ne raccolse le carte non'paressero degni di pubblicazione quanto la quarta parte delle Nov.
8. Traduzione dagli « Annali dell’ Acquitania » della storia del duca Guglielmo V: IV, 15. La storia di questo duca è dapprima narrata al B. da frate Guglielmo Parvi, o Petit, confessore del re di Francia, il quale poi gliela fa leggere negli Annales d’Aquitaine di Jean Bouchet, certamente sopra un testo manoscritto, non essendo que- st'opera stata stampata prima del 1525, ed egli, parendogli cosa molto « degna e notabile », la tradusse in italiano. Come da questa traduzione, ora introvabile, compose la novella, mostra il Picco nello studio I/ testo di una no- vella del Bandello negli « Annales d’Aquitaine » di Jean Bouchet (2). La novella, se fu scritta al più tardi nel 1509, fu, io credo, rimaneggiata dopo il 1554, quando il B. era
(1) Cfr. la cronologia delle Nov. nel libro del MoRrELLINI, M. B. novellatore lombardo (Sondrio, 1900), pp. 159 e segg. Sempre che accenno alla data di composizione delle Nov. mi riferisco a questa cronologia.
(2) Torino, 3 febb. 1912, per nozze (in realtà stampato e pubblicato parecchio dopo questa data).
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ad Agen, e a questo tempo penso risalga 1’ introduzione del passo sul vino, che ritorna quasi eguale in altra no- vella (IV; 6), composta ad Agen.
Prima di dare l’elenco (1) degli autori e delle opere che le Nor. ricordano, raccoglierò da esse una notizia che, per quanto incompiuta, non può essere senza inte- resse per la storia del costume e, più specialmente, per quella del teatro milanese, o italiano, se così vuolsi. Nella nov. 3 della P. I (1506-23) il nostro scrittore rammenta, ma troppo fuggevolmente per il nostro desiderio, una commedia che il conte Antonio Crivello fece recitare con sontuoso apparato nel suo palazzo e nella 44 pur della I parte (1516-24) rammenta che una farsa « non già molto lunga, ma ben sommamente dilettevole », fu reci- tata nel palazzo di Lucio Scipione Attellano « buona pezza tenendo la gioiosa compagnia in grandissimo piacere ». Di più Je commedie volgari, così indeterminatamente in- dicate, sono tra i libri che legge la moglie di Gandino Bergamasco (I, 34), lettura che con altre circostanze con- corre a dare alla donna « assai pensieri meno che onesti ».
Ed ora ecco gli autori e i libri che le Nov. ricordano:
AGOSTINO (santo), Città di Dio: II, 21. Si disputa a Di- porto tra B. Capilupi, M. Equicola e il B. sul suicidio di Lucrezia moglie di Collatino, quando sopraggiunge Bal- dassar Castiglione; a lui la marchesa di Mantova dice: « io vedeva, quando voi sète entrato, che il B. voleva entrar in sacrestia e dir sovra questa disputa ciò che ne dice santo Agostino nel suo dotto libro de la Città di Dio ». Vedi dunque del De ciritate dei il 1. I al cap. XVI, De Lucretia quae se ob illutum sibi stuprum perenrit. Di- scusso nei capi precedenti se lo stupro, di cui sante ver-
(1) Nel quale, naturalmente, ho omesso tutti quei non e quei titoli che non danno indizio di particolare studio o conoscenza, o sono diven- tati patrimonio di ogni piùt modesta cnitara letteraria, così da essere usati quasi proverbialmente: tali assai spesso il B. usa i uomi di Demo- stene, di Cicerone, di Salomone, di Aristotile, di Platone. Avverto poi che del Barignano, del Fieramosca, della Scarampa altre notizie mi ri- serbo di pubblicare, già in parte raccolte.
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gini prigioniere possono essere vittime involontarie, con- tamina la virtà dell’ animo, e del suicidio procurato per timore di male o per vergogna delle violenze libidinose esercitate sul corpo mentre | anima è in vita, sant’ A go- stino perta e discute l’ esempio particolare di Lucrezia e ne spiega il suicidio con l'essere ella vana e pagana, avida di onore tra gli nomini, mentre le donne cristiane trovano conforto in se stesse e nel sentirsi pure innanzi a Dio; quindi conclude (cap. XX) che nessun’ autorità per nessuna causa fa lecito il suicidio dei cristiani. Il B. pro- babilmente voleva portare la questione sul terreno reli- gioso, mentra i suoi personaggi sottilizzavano restando nel campo delle idee pagane, e ciò è curioso e interes- sante, perchè ci mostra un B. religioso e teologo (1); vero è, tuttavia, che la novella è narrata con spirito pagano, e questo evidentemente per rispettare il carattere del nar- ratore, che è il Castiglione.
ALBERTI (Leandro), Annali delle cose dai bolognesi fatte, e tante altre opere: IIl, 14. Ctr. « Libro primo (secondo... decimo) della deca prima delle Mistorie di Bologna di F. Leandro degli Alberti, bolognese, dell’ ordine de’ F. Pre- dicatori, 1541 ». La dedicatoria al senato e popolo di Bo- logna porta la data 2 genn. 1540, e ogni libro l’ indica. zione del giorno che fu finito: il primo 31 dic. 1539 (pre- sentato al senato il 24 febb. 1540), il decimo 15 luglio 1541; in calce a questo è l’ indicazione: « finito di stampare per Bartholomeo Bonardo e Mare’ Antonio Grossi adì 17 di dicembre 1543 nella città di Bologna ». In calce al primo libro si legge anche: « Imperando per tutto il mondo Christo figliuolo di Dio, a cinque di febbraio del 1541, fu effiggiato questo primo libro ecc., da Bartolomeo Bo- nardo e da M. Antonio Grosso in Bologna ». La seconda deca fu compiuta da altri e pubblicata postuma.
La composizione della novella III, 14 e della dedica- toria relativa, chè tra le due non mi pare corra diffe-
(1) Della più schietta ortodossia, anzi di nn singolar fervore religioso fanno fede le Stanze per L. Gonzaga.
8 RASSEGNA CRITICA
renza di tempo, starebbe, secondo il Morellini, tra il 1516 e il 25; ma il Prierio, che v'è ricordato, fu maestro del Sacro Palazzo fino al 1523, e d’altra parte questa novella, la 10* e la 25* della stessa parte formano un gruppo evidentemente posteriore, secondo me, di qualche anno alle prime scritture del Lutero (v. articolo relativo) e del Prierio, e non possono essere abbassate sino al 1516, Così essendo, è, se non altro, curioso che il B. confonda nel- l’espressione generica tante altre opere non tanto, dell’Al- berti, la Descrizione d’Italia, che, compiuta fin dal 1537, doveva essere pubblicata solamente nel 1550, quanto di lui i sei libri De viris illustribus ordinis praedicatorum, pubblicati nel 1516, nei quali, facendo a volta a volta opera di autore e di compilatore, 1’ Alberti raccoglieva notizie e lodi del B. medesimo. Fra le tante altre opere si deve anche comprendere una vita del domenicano bolognese Girolamo Albertacci dei Borselli, secondo il Mazzuchelli rimasta inedita presso 1’ Ordine, la quale può darsi fosse fonte al B. per questa novella ITI, 14, che è dedicata all’Alberti e della vita del Borselli narra appunto un episodio (1). Invece 1’ esplicito ricordo, un po’ artificioso, dell’ opera storica ancora in lavoro e che tanto più tardi doveva, senza esser compiuta, veder la luce, ci prova quanto a lungo ad essa attendesse l’Alberti e quanta fosse la famigliarità del novellatore con lui.
ALFONSO X (di Castiglia), Li canoni o siano le tavole alfonsine, L’istoria generale, Sette libri del modo di vivere: IV, 9. È bene rileggere quanto il B. scrive di queste
(1) Per l’illustrazione storica di questa novella non sembri inoppor- tuno ricordare che quelli che il B. chiama « certi giubilei a profitto de lo Spedale maggiore », predicati nel duomo di Milano, sono la così detta festa del perdono, che ancora si celebra il giorno dell’ Annunziata alter- nativamente nel Duomo gli anni pari, nell’ Ospedale i dispari, chi assiste alla quale, istituita nel 1460 a istanza di Francesco I Sforza, fondatore della pia casa, ottiene indulgenza e assoluzione ab omnibus peccatis, exces- sibus, criminibus et delictis. Però l’espressione certi giubilei ci dice che quando il B. scriveva quella festa non doveva essere molto frequente e nota, e infatti essa non divenne annuale che nel 1560,
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opere, della dottrina e della fama del loro autore: « Questo Alfonso X.... fu nomo studiosissimo e di gran fama cerca le scienze matematiche, e massimamente riportò infinita lode ne la astrologia, di modo che communemente da tutti per eccelenzia si dimandava 1’ « astrologo ». In questa scienzia astrologica compose egli de li movimenti de li cieli e de le stelle una bellissima opera, che si di- manda dagli studiosi di quell arte Li canoni ossia le ta- vole alfonsine. Scrisse anco l’istorie de le cose fatte dal principio del mondo sino a li suoi tempi, che gli Spa- gnuoli-appellano l’ Istoria generale. Serisse anco sette libri insegnando il modo del vivere a li suoi popoli, acciò che ciascuno sapesse come civilmente e religiosamente go- vernarsi ». Queste parole sono, a mio avviso, tradotte con la libertà solita del B., giustificata in generale dal carattere novellistico della sua opera e in questo caso particolare dalla diretta conoscenza che egli poteva avere di almeno due delle tre opere ricordate, dai libri di Lucio Marineo Siculo De rebus Hispaniae memorabili- bus, pubblicati per la prima volta nel 1534. Scrive infatti il Marineo (1): « Alphonsi domi forisque multa prae- clara gesta memorantur, qui leges a maioribus in Hispa- nia conditas, immensum opus, in septem digessit volu- mina, quae Purtitas appellant; edidit, aliorum tamen in- genio, historiam orbis quam generalem Hispani vocant, Canones idem in astrologia, quos tabulas nominant «lphon- sinas unde astrologi magnum cognomen est adeptus ». Se il B. ignora tanto Las siete partidas da fraintendere il latino del Marineo che le riguarda, poteva più o meno essergli giunta notizia della Cronica general, la quale, quantunque in un testo che la critica non ritiene ge- nuino, era stata pubblicata nel 1541 a Zamora (2); ma
(1) Cfr. Lucia MARINERI SICULI, regii isthoriographi, De rebus ITispaniae memorabilibus opus libris XXII comprehensum in (A. Schottus) Hispaniae tllustratae seu rerum urbiumque Hispantae, Lusitaniae, Aethiopiae et Indiae scriptores varii, vol. I, Francofurti, 1603; lib. VII, p. 360.
(2) I. K. FITZMAURICE, Litterature éspagnole, Paris, Colin, 1904, pp. 60-66. La nov. del B. fu scritta tra il 1542 e il 04.
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più è probabile ch'egli conoscesse le Tavole, delle quali era stata tatta un’ edizione a Venezia nel 1492, che io potei vedere nella Comunale di Vicenza. Il libro ha questo titolo: Tabule tabularum celestium motuum divi Al- fonsi regis romanorum et Castelli illustrissimi nec non stel- larum fixrarum longitudines ac latitudines ipsius tempore ad motus veritatem mira diligentia reducte ac in ipsas primo tabulas Alfonsi Canones sive propositiones ordinatissime in- cipiunt felici sidere. Sul frontespizio è seritto soltanto Tabule astronomice Alfonsi regis, e in calce al volume: « Venetiis 1492 ».
AMANIO (Niccolò), Quanto più cresce amor l’aspro tor- mento, capitolo: I, 45. Il B. è il solo, ch'io sappia, che ci conservi in questa novella, trascrivendolo interamente, quest’ unico capitolo dell’ Amanio, evidentemente avuto dall’ amico e trascritto nella sua raccolta. Altre poesie di lui genericamente ricorda iu altre novelle; per tutto cfr. il mio scritto sull’Amanio medesimo in questa Rass. (XVII, 26).
ANASILLA, V. ATENEO.
ANTIQUARIO (Giacomo), Eloquentissima e dotta orazione del trionfo del re (Luigi XII) III, 32. Cfr. Oratio Iacobi Antiquarii pro populo mediolanensi in die triumphi Ludo- vici Galliarum regis et Mediolani ducis de fractis Venetis, Mediolani, per Alex. Minutianum, 1509 (28 giugno). Nelle prime righe della novella (le surriferite sono della dedi- catoria) il B. chiama questa orazione gravissima e dotta e la dice « piena di tante belle istorie ed aspersa di mille passi reconditi ». Il Picco (1), e non egli soltanto, male interpreta il novellatore mostrando di intendere che l’Antiquario tenesse questa orazione « in casa propria, a molti gentiluomini convenuti », anzichè pubblicamente nel duomo di Milano parlando a nome del popolo.
APULEIO, L’Asino de V oro III, 2. Il B. con le pa-
(1) I viaggi e la dimora del B. in Francia, articolo del resto esatta- mente informato e importante assai, nella Miscellanea di studi in onore del prof. Renier (Torino 1913), p. 1705,
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role « ove (Ap.) si scusa de lo stile che usa se non ‘è latino », allude a questo passo della prefazione di Apuleio: « Mox in urbe latia advena, studiorum Quiri- tium, indigenam sermonem erumnali labore, nnlilo ma- gistro -praeeunte aggressus, excolui. En ecce praefamur veniam, si quid exotici ac forensis sermonis rudis lo- cutor offendero. Iam haec quidem, ipsa vocis immutatio, desultoriae scientiae stilo, quae accessimus, respondet ». Cfr. L. APULEI Metamorfoscos sive lusus asini librà XI. Di quest'opera è opportuno ricordare l’edizione: « Vene- tiis, in aedibus Aldi et Andrea soceri, MDXXI », che pro- babilmente servì al B. Egli parla di Apuleio anche in I, 59 (v. all’ articolo BECCARIA).
ARCO (Niccolò d’), Varie poesie latine: II, 36. Sono specificatamente ricordate: l’ elegia, che « ne la consacra- zione de la sua lanugine a Venere » il D’ Arco compose in Pavia, non conservataci; la selva in morte di M. AÀ. della Torre e l’epitafio per questa medesima morte; l’epi- grangma dell’ « r » del Quinziano, per il quale ctr. il mio scritto sul D'Arco medesimo nel Fanf. d. dom. del 7 mag- gio 1911. Per la morte del Della Torre il D’ Arco com- pose l’epitafio, di cui solitamente son citati i soli due ul- timi versi, un « epicedion », che è la selua del B. e due anni dopo un’ elegia dal titolo Lacrimae secundae. L'ignoranza che ha il B. di questa poesia ci significa che egli sì al- lontanò dal D’ Arco dopo il 1511, data della morte del Della Torre, e prima del 1513, data delle Lacrimae se- cundae. Dalle parole di lui risulta anche che egli cono- sceva le poesie del D’ Arco non dalla stampa, bensì da comunicazione manoscritta del poeta; erano nella sua raccolta.
ARETINO (Pietro), La « Nanna » ossia la « Raffaella »: I, 34. È evidente la confusione che fa il B. tra i Ragiona- menti dell’Aretino, triste eroina dei quali è la Nanna, e il dialogo La Raffaella ossia Della bella creanza delle donne di Alessandro Piccolomini, che alla moglie di Gandino ber- gamasco (l’ eroina di questa nov.) doveva specialmente esser gradito come quello che insegnava dover nel segreto
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le giovani spose darsi piacere. Donde la confusione? A me par chiaro che il B. d’altro non si curò che di mettere insieme, citando a memoria, i titoli dei libri che più cor- revano tra le donne galanti e i loro amici, per dare non una documentazione delle letture della sua eroina, ma un’ ultima pennellata al ritratto di lei. La confusione po- trebbe mostrare che il B. non avesse troppa dimestichezza con l’ uno e l'altro libro e i loro autori: infatti il nome del Piccolomini mai non s'incontra nelle Nor. e que- st’ unica volta quello dell’ Aretino.
I Ragionamenti furono pubblicati la prima volta nel 1537, e nel 1539 la Zaffaella: il Morellini, ponendo la data di composizione della novella I, 34 tra il 1516 e il 21, avverte che è anteriore al 1521, perehè narrata sotto il pon- tificato di Leone X; posteriore al 1516, perchè vi si ri- corda il Furioso, pubblicato appunto nel 16. Ora può darsi che essa sia stata veramente raccontata, di luglio, come
avverte la dedicatoria, presso la contessa di Pandino Isa-.
bella Sanseverina e Landriana, alla quale è dedicata, pre- sente il vescovo Franceseo Chierieati, ritornato proba- bilmente prima del luglio 1518 dalla sua legazione nel Portogallo, e che poi il B. rivedendola per raccoglierla con le altre 58 nel primo volume dell'edizione lucchese (1554), non alterando le circostanze della narrazione, abbia ag- giunto l’ accenno alla Nanna e alla Raffaella: essendo al- lora lontano dall’ Italia e non avendo presumibilmente a portata di mano i due libri, fu tratto a confonderli e a denominare dall’ eroina l’opera dell’ Aretino, il cui titolo preciso è Za prima (e la seconda) parte dei Ragionamenti. Ciò ci fa vedere in azione, a dire così, il B. correttore delle sue novelle, e ci mostra anche quale importanza relativa abbia, chi la consideri per sè stessa, la data della loro composizione.
Arrosto (Ludovico), Il « Furioso »: 1, 34. È tra i libri che legge Zanina moglie di Gandino bergamaseo, e il B. avverte ch’esso « di nuovo era uscito fuori ». Rodomoute, come tipo antonomastieo di uomo furibondo, è ricordato in II, 11. Un riscontro è chiaro tra Furioso, XXVIII,
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18 e Nov. IV, 19, sfuggito alla Fumagalli: Giocondo e Beraldo scoprono ladulterio, quello della moglie, questo dell’ imperatrice, ritornando improvvisamente a casa per prendere un oggetto dimenticato. Una sol volta (IV, 17), introducendo Galasso Ariosto come narratore di una no- vella d’argomento ferrarese nel giardino di L. S. Attel- lano, del quale egli era « continovo ospite », il B. lo ricorda quale .« fratello de l’ ingenioso e divino poeta messer Lodovico Ariosto », parole, che non ci permet- tono nessuna induzione sulle relazioni dei due scrittori.
G. Fumagalli (1) pone a confronto la nov. I, 22 (di F'e- nicia e Timbreo) del B. con 1 episodio di Ariodante e Ginevra, la sola reminiscenza ariostesca ch’ella trovi nelle Nov., notata già dal Raina; ma io credo col Fresco che i due racconti, pur somigliandosi nella sostanza, siano tra loro indipendenti (2). Più interessante, almeno per la storia del costume, mi sembra il fatto che l’ Aretino tra gli insegnamenti della Nanna alla figlia Pippa pone anche questo (3): « fa vista di leggere il Furioso, il Petrarca e il Cento, che terrai sempre in tavola »: sono gli stessi libri che legge la Zanina del B. (I, 34), ma questa li leg- geva sul serio, la Pippa doveva fingere di leggerli, dif- ferenza che distingue la mestierante dalla dilettante. Dall’episodio di Astolto nella luna, mi pare si possa far derivare, ciò che è sfuggito all’ attenzione della Fuma- galli, quanto nel canto quarto del suo poema per la Gonzaga il B. dice intorno agli effetti della poesia, che salva dall’ oblio e dà la gloria; forse dall’ Ariosto mede-
(1) Za fortuna dell’ « Orlando Furioso » in Italia nel secolo AVI, in Atti e mem. della Deput. ferr. di st. pat., vol. XX, fase. TIL (1912), p. 380. Cfr. anche U. Fresco, Il B. e le sue novelle ‘Camerino, Savini, 1903), pp. 31-32.
(2) Tra le opere derivate dall'episodio ariostesco (£eatommiti, Introd, 9, del GiraLbpI; Za Gelosia del Lasca; Za Pazzia di Fileno Ai Donato Cue- CURTTI) la Fumagalli non ricorda, forse. perchè nscente dai limiti di tempo posti alle sue ricerche, la commedia Zi duoi fratelli rirali di G. B. DeLLa Porta (ediz. Laterza, vol. IL, p. 195), la quale, per altro, a me sembra derivi direttamente dalla nov. bandelliana.
(3) Ragionamenti, p. II, giorn. I.
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simo il B. deriva il modo di cominciare con riflessioni morali i canti di quel suo poema.
ARISTOTILE, De la generazione degli animali: II, 49. Cfr. ARISTOTELIS De natura (non generatione, come a me- moria traduce il B.) animalium interprete TH. GAZA (Ve- netiis, Aldus, 1504), libr. VIII, cap. 28: «..... multifor- miores in Africa (bestiae sunt), unde proverbio quodam dicitur semper aliquid novi Africam atferre. Facit enim illius situs aquarum penuria ut ferae eodem concurrant bibendi causa, quo quidem loco et quae alienigenae sunt, coéunt et generant; quorum tempora eadem ferendi uteri sint et magnitudines uon multo inter se discrepent, red- duntur mitiora desiderio fluvii, nam et contra quam ce- ‘tera potum quaerunt tempore enim hiberno magis quam aestivo. Insuetum namque his est bibere aestate, propterea quod imbres fieri per id tempus non soleant, et mares quidem cum biberint moriuntur ».
ATENEO, lib. IV: II, 4. Non nel quarto, ma nel quat- tordicesimo libro si leggono i versi di Anasilla ricordati dal B. Ofr. infatti, ATHENAKI Deipnosophistarum libri, lib. XIV: « qua propter Anaxilas in Z/yacinto ait: Mu- sica, ita me dii ament, ut Lybia est: Novam semper fe- ram quotannis parit ». Nel testo greco i due versi suonano:
TI porsi, Toizep Ain... "Asì ti zalvov zo Evranti,v tia. ipiov.
BanpELLO (Vincenzo), De la Concezione: III, 12. È il trattato latino intitolato De singulari puritate et praero- gutira conceptionis Saleatoris. nostri Ihesu Christi editus per F. Vicentium de Castronovo ccec.... continens disputatio- nem coram IHereule Estensi Perrariae duce in cius palatio
factam, Bononiae 14AST, ma più volte ristampato, A questo
trattato V. B., zio del novellatore e generale dell’ordine domenicano, appassionatissimo per la sua tesi, aveva fatto precedere, stampandolo anonimo a Milano nel 1475, un Libellus recollectionis authoritatum de veritate conceptionis beatue Mariae Virginis gloriosae.
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BARIGNANO (Pietro), Sonetti e un madrigale: I, 12. Di un madrigale il B. cita (I, 13) due versi: « Cangia sperar mia voglia, chè non si muor di doglia ». La maggior parte delle rime del Barignano furono raccolte dal Ru- scelli insieme con quelle di Veronica Gambara e di altri bresciani (1); e queste e altre ancora si leggono nelle varie raccolte del cinquecento, altre sono manoscritte in. varii codici (2). Tra tutti questi versi non ho trovato i due citati dal B., probabilmente compresi nella raccolta manoscritta di lui e con essa andati perduti. Egli aveva avuto dal poeta stesso a Montechiari di Brescia i sonetti e il madrigale, li aveva mostrati ad Emilio Emilii, altro verseggiatore bresciano (3), e insieme avevano lodato il souve stile e la ingegnosa e bella invenzione del poeta; la frase: « gli ultimi sonetti... che voi... mi deste », cl per- mette di credere che altri il Barignano ne avesse già dati al B. e che, forse, fosse solito dargli quanti ne com- poneva. Il novellatore certo l’ ammirava, ma quale giu- dizio particolare ne facesse, non ci dice. Così nulla ci dice da poter aggiungere al pochissimo che sappiamo di questo rimatore, tranne che egli era anche del circolo della Scarampa, se parlandole di lui lo chiama 4 nostro. Pare fosse pesarese, chè se il Ruscelli e qualche altro lo ritengono bresciano, Leandro Alberti nella sua Descri- zione d’ Italia scrive: « et P. Barignano fu pisaurese di- gnissimo poeta che passò a miglior diporto questi anni », cioè prima del 1550, data della pubblicazione della De- scrizione; pesarese lo dicono il Quadrio, seguito se non
(1) Z'ime di diversi eccellenti autori bresciani nuovamente raccolte et man- date in luce da Girolamo Ruscelli tra le quali sono le rime della signora Ve- ronica Gambara e di M. Pictro Barignano ridotte alla vera sincerità loro, Venezia, Pietrasanta, 1554, pp. 20-33.
(2) Dei sonetti che A. C. in Lime di poeti italiani del secolo XVI (Scelta, disp. 1833), Bologna, Romagnoli, 1873, raccolse da manoscritti ambrosiani attribnendoli a Geri Gianfigliaceci, fiorentino, contemporaneo e corrispon- dente del Petrarea, il terzo nelle raccolte del cinquecento si trova at- tribuito al Barignano, il secondo a Nicolò Tiepolo pure cinquecentista.
(3) Di questo vedi sette poesie nelle citate Nime di dresciani,
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copiato dal Crescimbeni, e il Mazzuchelli, ma con minor sicurezza; quello lo chiama poeta coltissimo e delicatis- simo, .abile maneggiatore di atfari, molto impiegato e poco rimunerato. Fu amico di B. Tasso, al quale diresse più di un sonetto, e probabilmente si trovò con lui in Lombardia, anzi nel Bresciano, quando col Tasso s’incon- trava anche il Bandello; fu pure amico dell’ Ariosto, il quale lo annovera tra quelli che l’ accolgono al finir del suo poema (Or. XLVI, 16). Se poi, come io credo, deve leggersi « Barignano » dove il Serassi lesse « Barignino » è lui che il Castiglione presenta e raccomanda con un suo biglietto al duca d’ Urbino (1); se è così, abbiamo una prova sicura che questo rimatore fu pesarese. Di lui il Muratori nella Perfelta poesia (2, esamina il son. « Ove fra bei pensier, forse d’ amore », conchiudendo: « poco mancherà che nol chiamiamo (questo sonetto) un degli